L’invidia: una brutta bestia! …ma addomesticabile
Oggi vorrei trattare un argomento un po’ scomodo e che è in assoluto, io credo, un argomento tabù, ancor più del sesso o di alcune patologie. Certo non è mai facile parlare di una malattia, sia essa fisica o dell’anima, ma pensateci, quante volte vi è capitato nella vita di ammettere: “Si, sono invidioso di tizio” oppure “Lo sono stato in quella determinata situazione”?
Nella mia vita, non sono anziana ma nemmeno più così tanto giovane, vi assicuro, non mi è mai capitato di sentir uscire dalle labbra di qualcuno, me compresa, una frase di questo tipo. Beh, tutti abbiamo esperienza di aver sentito o parlato dell’invidia altrui ma, del nostro stesso sentimento, quante volte ne siamo stati coscienti? E quante volte lo abbiamo ammesso? Fermatevi un attimo a pensare… quante volte vi è capitato? Fatelo, riflettete per qualche minuto… sono curiosa di sapere se qualcuno di voi abbia una risposta diversa da “MAI”.
Paradossalmente è molto più probabile e “semplice” ammettere di soffrire di una qualche forma di disturbo o infermità. Non vorrei sembrare cinica ma spesso, le malattie, così fortemente vissute nell’intimo dell’animo umano, apportano notevoli modifiche alla nostra sensibilità, suscitando perlopiù sentimenti empatici, di tenerezza, di dispiacere, accoglienza e vicinanza emotiva ma l’invidia, signore e signori, è un sentimento che merita un capitolo a parte, anche più della rabbia e della disperazione, sebbene anch’esse siano spesso bistrattate.
L’invidia è qualcosa di socialmente inaccettabile che immediatamente fa volare le nostre menti a qualcosa di orribile e orripilante, ci rimanda a scenari diabolici, alla matrigna e alle sorellastre delle fiabe, al pericolo imminente e a qualcosa che deve essere assolutamente schiacciato, eliminato, ributtato nelle cavità infernali. La parola deriva dal latino videre, vedere, e in, avversativo, quindi guardare ostilmente, biecamente o genericamente guardare male, mal-occhio…. Vi ricorda qualcosa???
Si tratta di un sentimento di mancanza rispetto ad un bene o una qualità che desideriamo e che vediamo in altri. Uno stato d’animo che riguarda tutti, persino gli dei dell’Olimpo ne subivano l’influenza, ed anche gli animali e gli uomini, ebbene sì, attenzione a non partire con i classici stereotipi di genere che vedono l’invidia essere un vizio puramente femminile perché, udite udite, alcuni studi condotti da psicologi e psicanalisti aderenti alla Società internazionale di Psicanalisi hanno dimostrato che non solo gli uomini si invidiano tra loro ma anche che invidiano le donne e più delle donne (il 78% contro un 48% nelle donne) soprattutto in campo professionale. Tentano di tagliare fuori colleghi di lavoro lasciandoli all’oscuro di alcune informazioni, non riconoscono i meriti della persona invidiata, gettano discredito sulle sue idee, arrivando ad insinuare che i meriti ottenuti non derivino da capacità ma da favori o raccomandazioni. Oggetto d’invidia sembrano essere più le donne che gli uomini. La ragione principale sarebbe da ricondurre, secondo la ricerca, al fatto che molte donne fanno carriera e si affermano nel mondo del lavoro e questo le renderebbe bersaglio dell’invidia sociale.
Ma perché l’invidia è così fortemente negata? Molto probabilmente perché implica due elementi considerati piuttosto disonorevoli dalla società: innanzitutto perché ammettere di provare un tale sentimento significherebbe dover confessare di sentirsi inferiori e poi per il desiderio intrinseco di voler danneggiare l’altro; a questo si accompagna spesso un piacere maligno, chiamato schadenfreude, la soddisfazione provata davanti alle disgrazie altrui. Esempi di questo tipo li troviamo facilmente nel mondo del calcio o della politica, dove non è affatto inusuale osservare sostenitori di un team festeggiare la sconfitta degli avversari.
Ma come si manifesta l’invidia?
Il circolo vizioso psicologico nasce da un senso di sfiducia in se stessi e nelle proprie capacità, per lo più inconscio, che fa percepire uno stato di inadeguatezza e di indegnità rispetto agli altri.
L’invidioso non osa desiderare il successo e la felicità, o perché pensa di non meritarli o perché è vittima di codici etici molto rigidi che gli impediscono di vivere liberamente e perseguire la strada verso la realizzazione dei suoi desideri. E quando si scontra con la felicità dell’altro o vede nell’altro ciò che desidera e di cui si sente profondamente mancante, può provare rabbia, frustrazione e vergogna fino ad un senso di esclusione e di ingiustizia. Da qui nasce un grande bisogno di neutralizzare l’altro, di punirlo per quel successo che oscura l’invidioso.
Di solito l’invidiato non è uno sconosciuto ma un individuo percepito come un pari, un amico o una persona cara, persone con cui siamo in contatto quotidiano e con cui è più facile confrontarsi. A partire da Caino e Abele, sappiamo che molto frequente è l’invidia tra fratelli ma esiste la possibilità di vivere questo sentimento anche nel rapporto tra coniugi o addirittura tra genitori e figli. Ma lasciamo l’approfondimento di questo argomento per un’altra occasione e guardiamo invece cosa accade nell’invidioso e quali mezzi attiva per tentare di liberarsi di questo tarlo che gli “rode il fegato”. Perché si, l’invidioso soffre profondamente, come ha evidenziato una ricerca giapponese, nell’invidia si attiva la corteccia cingolata anteriore dorsale che è legata all’elaborazione del dolore fisico o del dolore sociale, quindi in risposta ad esempio ad un senso di esclusione sociale.
Cosa fare allora quando si vive questo dolore? Come cercare di preservare il proprio ego e recuperare un confronto da cui si è usciti perdenti? La strategia più utilizzata per nascondere i propri limiti è la critica, screditare l’altro, per scalfirne la brillantezza ai nostri e altrui occhi. E così come nella favola della volpe, che non potendo raggiungere l’uva, dice che è acerba, l’invidioso va alla ricerca delle debolezze e dei limiti dell’antagonista per giudicarlo e criticarlo alle sue spalle, in presenza di altre persone. In tal modo, la svalutazione attuata istiga i commenti negativi degli altri, abbassa l’invidiato al livello dell’invidioso e a questo punto il gioco è fatto! L’invidioso avrà potuto mitigare il suo senso di inferiorità ma quello che non sa è che questo movimento è solo un autoinganno temporaneo, che non lenisce davvero le ferite né cura il proprio senso di inferiorità ed insicurezza.
E sapete qual è il terreno di gioco preferito dagli invidiosi di questi tempi? Ebbene si, i Social Network! Quante volte, saltando da un profilo all’altro di amici e conoscenti, ci siamo ritrovati a confrontare il numero di commenti e di “mi piace” ricevuti per una foto o quanti messaggi di auguri di compleanno ed ancora quante persone visualizzano e commentano i nostri video, dirette e post?!? Secondo alcuni ricercatori tedeschi che hanno messo in correlazione invidia e interazioni sociali, la prima causa di invidia e risentimento sembrerebbe essere determinata dalle foto di una vacanza. Inoltre hanno riscontrato che le persone intorno ai 30 anni sono maggiormente invidiose delle famiglie felici mentre le donne sono più invidiose dell’aspetto fisico. Che ve ne pare? Vi ricorda qualcosa tutto questo? Beh, direi che la battaglia di foto e post a cui assistiamo ogni giorno su fb possa essere riletta in nuova luce ora.
E allora che fare contro l’invidia? Come possiamo eliminarla?
Prima di tutto “mettersi l’anima in pace”, ossia accettare il fatto che l’invidia non può essere cancellata, come tutte le emozioni e gli stati d’animo ha un senso, un valore nella nostra vita.
Altro passo importante è diventarne consapevoli. Come dicevamo all’inizio dell’articolo, spesso l’invidia si attiva a livello inconscio, allora può essere utile soffermarci sul nostro dialogo interno, osservando il modo in cui parliamo a noi stessi, i giudizi che ci diamo, ad esempio “quanto sono grassa!”, facendo attenzione ai giudizi negativi verso gli altri come “è solo un raccomandato!”e a quelle domande che ci poniamo solitamente tipo: perché lei si e io no?
Il passo successivo sarà, dunque, quello di guardare all’invidia come ad una faccia di una medaglia, di cui l’altra è l’ammirazione, come suggerito da Kierkegaard. In tal modo l’invidia può essere vista come un indicatore dei nostri desideri e come benzina per la motivazione a muoversi nella direzione verso ciò a cui maggiormente aspiriamo. Trasformarla dunque in competizione virtuosa.
Ma tutto questo deve andare di pari passo con la conoscenza di noi stessi, la valorizzazione delle nostre potenzialità e l’accettazione dei limiti personali, rafforzando in questo modo la propria autostima.